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Dal Pd non spot ma una visione di insieme

Il bicchiere che è insieme mezzo pieno, se guardiamo a dove eravamo, e mezzo vuoto, se guardiamo a cosa saremo e vorremo essere

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Ilavoro, l’Europa, la cultura. Tre parole capaci di definire insieme identità, appartenenza, valori e priorità del Partito democratico, e che non a caso, come ha ricordato il segretario Matteo Renzi, saranno i tre pilastri della proposta del Pd al Paese.

Sono anche la risposta migliore alla più surreale fra le critiche che vengono rivolte al Partito democratico, e cioè quella di non essere in grado di dotarsi di una visione d’insieme ma solo di una serie di provvedimenti spot, messi in fila senza tenere conto di un disegno complessivo. Che invece esiste eccome, ed è quello di una forza politica che, proprio perché consapevole della complessità delle sfide contemporanee, si candida a governarle, con tutti i rischi e l’esposizione all’errore che una così alta assunzione di responsabilità comporta.

È questo il cuore di una vera proposta riformista e progressista: un’affermazione decisa dei propri valori – il lavoro, l’Europa, la cultura appunto – attraverso un costante e continuo processo di individuazione dei problemi e di aggiornamento delle proposte da mettere in atto per provare a risolverli.

 Questo significa, ad esempio, rivendicare con orgoglio il milione di occupati in più grazie ai provvedimenti del jobs act e contemporaneamente dichiarare che non sono abbastanza, che molto c’è da fare ancora in materia, sulla quantità ma anche sulla qualità del lavoro in Italia, e che in questa direzione andranno le nuove proposte del Pd. Il bicchiere che è insieme mezzo pieno, se guardiamo a dove eravamo, e mezzo vuoto, se guardiamo a cosa saremo e vorremo essere. Il riformismo è questa cosa qui, con buona pace di chi si appropria del termine ma, dichiarando di puntare sempre al migliore dei mondi possibili senza mai fare o riconoscere un passo concreto verso il miglioramento anche parziale delle condizioni generali, si iscrive invece alla corrente di un massimalismo sterile, inconcludente e buono solo per le campagne elettorali, i convegni del sabato mattina e gli status urlati su facebook.

E questo è un altro punto che deve distinguere il Pd in campagna elettorale: la credibilità nel mettere in campo una proposta. Una credibilità data dall’esperienza e dai risultati ottenuti nell’ultima legislatura. Perché un elettore dovrebbe credere, sempre per rimanere al lavoro, che una seconda e ambiziosa parte del jobs act verrà implementata se a governare sarà il Partito democratico? Perché quanto fatto fin qui rende credibile chi fa questa proposta, al contrario di chi, da destra, ha portato il paese nella situazione drammatica in cui era nel 2011 e che tutti, purtroppo, ricordiamo.

Perché dovrebbe, un elettore, credere che la cultura, intesa come patrimonio ma anche come identità e definizione di cosa si è come singoli e come comunità nazionale, sarà al centro di un progetto capace di far giocare all’Italia il ruolo che le compete in Europa, nel mondo e nella storia? Perché quanto fatto dagli ultimi due governi, dal lavoro sui musei al bonus cultura per i diciottenni, rende credibile il Pd in materia, al contrario di chi, ad esempio, amministrando una città importante come Torino, con la cultura nel proprio Dna, ha tagliato qualsiasi investimento e ambizione in materia. Valori fermi e riconoscibili, capacità nel tradurli in proposte concrete, e credibilità nell’implementarle: questo è il Pd, ed è su ciò che si deve misurare, con orgoglio, nei prossimi due mesi. 

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